Molto bene, con questa sentenza la Bjork vede quanto le è giustamente riconosciuto dal contratto, e siamo tutti pronti ad applaudire, disgustati da quanto ha provato a fare il Lione.
Maaaa, in ITALIA cosa sarebbe successo?

Perché è facile essere contenti per una vittoria legale (all'estero), ma sarebbe molto più bello poter gioire, finalmente, per un diritto riconosciuto a TUTTE le donne che lavorano nel mondo dello sport italiano.

In Italia la stragrande maggioranza delle donne (atleti, tecnici e anche alcune con ruoli dirigenziali) sono impegnate con il famigerato "contratto tecnico sportivo", un contratto a zero garanzie che trova le sue uniche tutele negli accordi scritti che si vanno a stringere con la società sportiva con la quale vengono suglati e quindi nella serietà della stessa (e, per fortuna, sono tanti club ad essere seri). Senza una federazione/sindacato che media e stabilisce standard minimi. Senza dignità.
 
La Bjork oggi vede dunque riconosciuto quanto dovuto, ma mentre siamo contenti per lei ricordiamoci sempre che le lavoratrici dello sport italiano, la maggior parte con contratti con cifre simili a quelli di una cassiera o di una impiegata (ma senza contributi) e che non permette sicuramente di "mettere da parte", se rimane a casa in gravidanza è "protetta" solo dalla sua associazione sportiva e nulla di più.
 
Tutto questo poteva cambiare "già" (sempre troppo tardi...) dal 1°gennaio, ma ancora una volta non è arrivato il momento. Nè per le donne, nè per i maschietti, che anche se non hanno da gestire la maternità possono avere altre motivazioni per non riuscire a lavorare.
 
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